Un lungo viaggio

di Rohinton Mistry

Ovvero viaggiare nei meandri della vita, senza mai uscirne

Un lungo viaggio. Un viaggio faticoso, incerto, a volte disperato, a volte confortato dalla fede e dagli affetti. È il lungo viaggio di Gustad, impiegato di banca a Bombay, in un mondo che sembra sempre più sfuggirgli di mano. Un viaggio tutto interiore, che si svolge percorrendo le vie del quartiere, che lo porterà fino a Delhi ma solo per poche ore e che si concluderà nella camera da letto dei figli.

Un viaggio attraverso le incertezze della vita: una situazione politica tesa (è il 1971, anno della guerra fra India e Pakistan), una figlia piccola che non vuol guarire, i dubbi sulla buona fede di un vecchio amico che si fa vivo in cerca d’aiuto, un caro amico malato di un male incurabile, un figlio che scappa di casa.

Primo romanzo di Rohinton Mistry, scrittore di religione parsi nato a Bombay e attualmente residente in Canada, Un lungo viaggio è un libro delicato, scritto con un ritmo pacato, con un tono sempre un po’ dimesso, fra l’ironico e l’amaro, con personaggi ricchi di grande umanità.

Rohinton Mistry è lontanissimo dal realismo magico che contraddistingue molti scrittori indiani: le sue sono piccole storie quotidiane di gente comune. Qualcuno l’ha chiamato neorealismo, ma per lui è semplicemente realismo.

Ora potrei raccontarvi brevemente la storia, dire del pacco e della lettera misteriosa che Gustad riceve, per creare un senso di mistero che incuriosisca un ipotetico lettore. Ma sarebbe ingiusto, in quanto questo è solo uno dei molti eventi e, più che il mistero in senso di giallo o thriller, il vero mistero raccontato nel romanzo è quello di non sapere dove ci porterà la nostra strada, di non vedere una soluzione ai nostri problemi e, nonostante tutto, di continuare ad andare avanti.

Vorrei solo raccontare due immagini secondarie, che per me sono rimaste indimenticabili.
La prima, un muro lunghissimo diventato ormai un pisciatoio pubblico a causa dell’inciviltà dei passanti, trasformato in altare grazie ai colori di un artista di strada vagabondo che vi dipinge sopra le divinità e i santi di tutte le religioni. Il muro profumerà di incenso e fiori, grazie alle offerte dei fedeli, ognuno al proprio dio o santo, a Buddha, Shiva, Zarathustra, Cristo o ai luoghi di culto musulmani.
Un muro armonioso, pieno di colori, profumato, con Shiva accanto alla Madonna, con il fedele musulmano accanto al parsi. Simbolo di come tutto dovrebbe essere ma non è.

La seconda, una falena che prende il volo, liberata dalla carta nera attaccata alle finestre nella stanza dei figli, messa per rispettare l’oscuramento imposto dalla guerra, ma anche simbolo di tutta l’oscurità interiore di un periodo di incertezza. Una falena che vola spaventata, non profumata e colorata come il muro, ma finalmente libera. Simbolo di come, alla fine dei conti, tutto dovrebbe essere e, a volte, è.

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